Giuseppe Biagi, O.M. emerito dell’A.R.I.
di Luigi Sfienti IZ4CMT
Giuseppe Biagi
Il 23 Maggio 2003 ricorreva il 75° anniversario
della partenza dalle Isole Svalbard della spedizione polare del dirigibile
“Italia”, al comando del Generale Umberto Nobile,
disastrosamente conclusasi solo tre giorni più tardi con lo schianto
dell’aeronave sulla banchisa polare durante il viaggio di ritorno
verso la base logistica alla “Baia del Re”.
Il salvataggio degli aeronauti superstiti fu reso possibile grazie alla
disponibilità di una modesta stazione ricetrasmittente ad onde
corte, facente parte della dotazione di emergenza, e alle capacità
tecniche ed operative del radiotelegrafista Giuseppe Biagi il quale,
operando indefessamente e con tenacia, riuscì a far giungere
i segnali di soccorso ad un radioamatore russo,
attivando così le operazioni di soccorso a cui presero parte
equipaggi provenienti da nazioni diverse.
Chi era Giuseppe Biagi?
Nato nel 1897 a Medicina (BO), Biagi si diede ben presto alla vita di
mare, si appassionò alla radio ed iniziò una brillante
carriera a servizio della telegrafia senza fili a partire dalla 1°
guerra mondiale fino al 1928, anno in cui fu scelto dallo stesso Generale
Nobile come operatore addetto alle apparecchiature ricetrasmittenti,
indispensabili a garantire le comunicazioni durante tutte le fasi previste
dalla missione. Biagi, al suo rientro in Italia, continuò la
carriera militare prestando lungo e onorevole servizio. Partecipò
alle operazioni militari della seconda guerra mondiale in qualità
di comandante la stazione radiotelegrafica di Mogadiscio, nella Somalia
Italiana. Caduta Mogadiscio, Biagi fu preso prigioniero dagli inglesi
nel 1941 e trasferito in un campo di concentramento in India. Qui, tra
i reticolati di filo spinato, nonostante la rigida sorveglianza delle
guardie, Biagi riuscì miracolosamente a costruire con i più
disparati componenti e mezzi un piccolo radioricevitore: un vero apparecchio
di fortuna che permise a lui ed ai suoi compagni di prigionia di poter
captare le voci della patria lontana. L’A.R.I.(Associazione Italiana
Radioamatori) allora Associazione Radiotecnica Italiana, fu con orgoglio
il primo ente che pubblicamente riconobbe i meriti di Giuseppe Biagi
nel corso dei lavori per il II° Congresso Nazionale, svoltosi a
Torino il 23 Settembre 1928, conferendo all’eroico marconista
una medaglia d’oro appositamente coniata. In un memorabile discorso,
l’Ing. Franco Marietti (I1NO), all’epoca consigliere del
nostro sodalizio, pose l'accento sui meriti del radiodilettantismo nella
tragedia polare. La riprova del successo stava nel salvataggio degli
aeronauti: le onde corte, diversamente definite “ondine”,
avevano permesso ai naufraghi della “tenda rossa”
di far giungere le invocazioni di soccorso e di mantenere il contatto
radio con la nave appoggio, distante alcune centinaia di chilometri,
impiegando un’esigua potenza.
Dal dopoguerra indossò come divisa la tuta ed il berretto da
benzinaio, lavorando presso una stazione di servizio sulla Via Ostiense
a Roma, dove morì il 2 Novembre 1965 all’età di
68 anni.
Giuseppe Biagi
Roma: gennaio 1960 |
Generale Umberto Nobile
Roma: gennaio 1960 |
La spedizione del dirigibile “Italia”
Al termine della prima trasvolata polare, compiuta con successo dal
dirigibile “Norge”, si fece strada nella mente
di Nobile l’idea di una spedizione polare italiana, con discesa
sulla banchisa per l’acquisizione diretta dei dati scientifici
ritenuti maggiormente significativi per lo studio delle condizioni ambientali
proprie della regione. Le immense distese ghiacciate dell’artico
lo attraggono: questo deserto bianco, dove quasi nessuno è mai
penetrato, rappresenta ancora un pianeta sconosciuto. I dirigibili stanno
vivendo un momento particolare della loro storia, caratterizzato da
incidenti ma anche da grandi possibilità di sviluppo: grazie
alle caratteristiche costruttive, consentono di spostarsi da un punto
all’altro, compiendo osservazioni altrimenti impossibili con qualsiasi
altro mezzo. Per questo, imprese di grande visibilità, come la
conquista del polo, potevano non soltanto rappresentare un exploit di
prestigio, ma dare contestualmente impulso all’industria aeronautica.
Il piacere della scoperta unito al gusto per l’avventura inducono
scienziati e ricercatori di nazionalità diverse a unirsi alla
spedizione e preparare un piano dettagliato di ricerca. In quegli anni,
l’Italia è all’avanguardia nella costruzione dei
dirigibili tanto da ricevere ordini anche dagli Stati Uniti. Umberto
Nobile progettò quattro dirigibili a struttura semirigida, tecnologicamente
più avanzati rispetto a quelli ideati dal conte Von Zeppelin,
di cui l’”N1” prese il nome di “Norge”
e l’”N4” quello di “Italia”,
ambedue utilizzati per esplorazioni polari.
La costruzione del dirigibile “N4”, ribattezzato
“Italia”, avvenne presso lo Stabilimento Costruzioni
Aeronautiche della Caserma Cavour di Roma: lungo poco più di
100m, aveva una cubatura pari 18500m3 di Idrogeno ed era spinto da tre
motori in grado di imprimergli una velocità massima di 100 Km/h.
La stazione radio di bordo era costituita da un trasmettitore “Marconi
RA8” e da un ricevitore “Marconi RA6”.
Erano, questi, gli apparati appartenenti ad una serie di trasmettitori
e ricevitori di varia potenza adottati dall’Aeronautica Militare
per l’installazione sugli aeromobili. In seguito la stessa Aeronautica
Militare declinò le proprie responsabilità per la buona
riuscita dell’impresa e le stesse furono trasferite alla Marina
Militare, con il compito di fornire, oltre alla nave appoggio “Città
di Milano”, anche la collaborazione di alcuni ufficiali e
del radiotelegrafista di bordo. Fra i vari incarichi conferiti vi fu
quello di allestire l’impianto radio di bordo, attraverso l’opera
della Direzione Armi e Armamenti Navali. Il lavoro venne assunto dal
Capitano R.T. Ugo Baccarani il quale, nel Marzo 1928, si rivolse direttamente
a Guglielmo Marconi affinché lo consigliasse al meglio per una
spedizione così importante e rischiosa. Marconi lo esortò
in questi termini:”…non dimentichi di avere a bordo
del dirigibile, nonché sulla nave appoggio Città di Milano,
degli apparecchi ad onde corte…”.
Per quanto riguarda la stazione installata sul dirigibile, si procedette
a modificare il trasmettitore “RA8” mediante l’aggiunta
di un circuito per onde corte, inseribile a piacimento mediante un commutatore,
la cui realizzazione fu curata dal Capitano R.T. Buzzachino, capo officina
dell’Arsenale di La Spezia. La soluzione adottata consentiva di
mantenere inalterata le gamme d’onda coperte in origine dall’apparecchiatura,
comprese fra 600 e 900m, nonché la potenza d’uscita corrispondente
a 300W, ottenuta impiegando due valvole trasmittenti T250 “Osram-Marconi”.
Particolare attenzione fu rivolta nello studio delle antenne da parte
dell’Ing. Marino Algeri, noto per aver progettato pochi anni dopo
il ricevitore aeronautico “AR-18”, largamente utilizzato
anche dai radioamatori nell’immediato dopoguerra. In particolare,
l’antenna per le onde corte era realizzata con due conduttori
fissi, uscenti dalla cabina radio, uno teso verso prua lungo circa un
quarto della lunghezza d’onda di lavoro e l’altro, teso
verso poppa, lungo circa tre quarti della lunghezza d’onda. L’antenna
per le onde medio lunghe (600-900m), era ancora di tipo filante, costituita
da un conduttore a treccia di bronzo della lunghezza di 100m, che veniva
avvolto mediante un tamburello. Per evitare gli inconvenienti dovuti
alle incrostazioni di ghiaccio, verificatisi sul “Norge”,
l’uscita del conduttore d’antenna era stata opportunamente
modificata. Parimenti l’alimentazione dell’intero complesso
radio beneficiò di importanti migliorie, quali l’aggiunta
di un sistema per il mantenimento della carica degli accumulatori costituito
da una dinamo “Marelli”, azionata per mezzo di
una elichetta, e completato da un quadretto di distribuzione in grado
di controllare i parametri elettrici, tensione e corrente, di tutte
le batterie di bordo. Per l’alta tensione era disponibile un secondo
generatore ad elichetta capace di erogare 2000V con una corrente massima
di 150mA. La scelta del ricevitore ad onde corte cadde sul modello “MK
IV”, prodotto dalla ditta inglese “Burndept”
nel 1927, per consentire l’ascolto della stazione sperimentale
realizzata dalla BBC. Permetteva la ricezione di emissioni aventi lunghezza
d’onda compresa fra 12 e 100m ed era corredato di una serie di
bobine intercambiabili, contenute nel cassettino alla base dell’apparecchio.
Il circuito a reazione, seguito da due stadi a bassa frequenza, utilizzava
tre valvole “Mullard” tipo S525 ed era alimentato
mediante accumulatori e pile a secco per l’alta tensione.
Completava la dotazione ordinaria di bordo un radiogoniometro “Marconi
DFM2”, di produzione, inglese, ultimo modello della serie
“Bellini-Tosi” impiegante grandi telai ortogonali
esterni, collocati sul corpo dell’involucro.
Inizialmente l’apparecchio trasmittente di riserva ad onde corte
doveva essere un ingombrante pannello, impiegante due valvole T250 alimentabili
con un gruppo elettrogeno azionato da un motore “Douglas”
a benzina. Il prototipo di un piccolo trasmettitore ad onde corte per
sola telegrafia, realizzato nel 1927 da Ascanio Niutta, radiomatore
napoletano con nominativo I1KX, fu ripreso da un altro noto radioamatore
veneziano, Giulio Salom (I1MT), allo scopo di consentirne l’utilizzo
campale. A tal fine, il trasformatore connesso alla rete elettrica per
fornire l’alta tensione anodica al triodo trasmittente fu sostituito
da un survoltore a vibratore, impiegante una bobina d’induzione
(spinterogeno) per motociclette. La batteria esterna era da 12 V ed
era utilizzata anche per l’accensione del filamento della valvola.
Dal punto di vista circuitale, la sezione trasmittente era costituita
da un semplice oscillatore tipo “Hartley”, con
valvola “Philips TB 04/10”, in grado di erogare
una potenza RF di 5W sulle gamme d’onda comprese fra 30 e 50m.
Quando il Capitano R.T. Ugo Baccarani si trovò a dover vagliare
le due possibili soluzioni, prescelse quella proposta da Salom in forza
delle ridotte dimensioni unite alla praticità d’uso. L’arsenale
della Marina Militare di La Spezia realizzò la definitiva “Ondina
campale tipo S”, dove “S” sta ad indicare
l’iniziale di Salom. Tutto il complesso, ad eccezione della batteria,
era contenuto in una cassetta di legno delle dimensioni di 55x22x25cm
e raggiungeva un peso di circa 12Kg. Il pannello anteriore in ebanite
recava tre strumenti di controllo tipo “Weston”, le manopole
di accordo, regolazione della corrente di filamento ed un piccolo tasto
manipolatore. In trasmissione l’assorbimento era di circa 3 A,
consentendo una elevata autonomia ottenibile impiegando due batterie
da 100 Ah.
Nel suo libro “Biagi racconta…”, il radiotelegrafista
della spedizione Nobile così descrive l’apparecchio trasmittente
di riserva: “...La cassetta di fortuna, nata sulle coste di
Castel Porziano, dove il Comandante Pession e il capitano Baccarani
si recavano spesso per esperimenti. Di una potenza di circa 5 watt antenna,
essa poteva emettere onde da 30 a 50 metri. L’apparecchio era
composto di una cassetta di legno di circa 60 centimetri per 20 di base
e 25 d’altezza, contenente un solo piccolo triodo tipo ricevente
Philips T.B.4, di una semplice spirale di 16 anelli, un condensatore
ad aria, due piccoli condensatori fissi, e un vibratore elevatore di
tensione da 12 a 300 volts. La batteria da 12 volts forniva anche 8
volts per l’accensione del triodo. Dal secondario del vibratore
veniva presa la tensione anodica…Per antenna e contrappeso bastavano
due fili lunghi circa un quarto della lunghezza d’onda voluta
così che per l’ondina 33 occorrevano circa 8 metri di filo.
L’ideale sarebbe stato che uno dei due fili fosse stato verticale
e l’altro orizzontale, un poco sollevato da terra. La portata
diurna si poteva considerare dai 500 ai 1000 chilometri, a seconda dell’onda
e delle condizioni atmosferiche…Non avrei mai pensato che la modesta
cassettina fosse destinata a rappresentare una parte di tanta importanza
e ad assumere un rango storico nella nostra tragica avventura. Essa
fu davvero la nostra Provvidenza. Sia benedetta, e benedetto sia Guglielmo
Marconi, nostro nume tutelare e genio benefico dell’umanità”
Ne vennero prodotti sei esemplari. Quello del dirigibile “Italia”,
recante la matricola N°3, è conservato al Museo dell’Arsenale
assieme al ricevitore Burndept, entrambi utilizzati da Biagi. Furono
esposti alla Mostra storica della Radio, realizzata a Firenze nel 1977,
in occasione del cinquantenario dell’A.R.I.
Il collaudo dell’”Ondina campale” avvenne
alla presenza dello stesso Ing. Salom, mediante l’effettuazione
di numerose prove presso la stazione radio della Marina di Roma San
Paolo. Utilizzando onde di lunghezza prossima a 50m, fu possibile collegare
più volte la stazione R.T. della Marina dislocata nell’isola
di Rodi, ad una distanza stimata di circa 2000Km.
L’aeronave “Italia” si libra nel cielo di
Milano il 19 Marzo 1928 con destinazione le isole Svalbard, dove giunge
il 6 Maggio al termine di un viaggio lungo 5000Km attraverso l’Europa,
rivelatosi duro e pericoloso a causa delle condizioni climatiche severe
a conferma delle previsioni fatte dai meteorologi russi prima della
partenza. Al termine di due missioni ricognitive a corto raggio, il
23 Maggio 1928, alle ore 04:28, il dirigibile salpa verso il polo. L’equipaggio
è costituito da 16 uomini, fra cui tre scienziati ed un giornalista,
a cui si aggiunge “Titina”, la cagnetta del generale
Nobile. Dopo aver percorso circa 1500Km alla velocità media di
85 Km/h, alle ore 00:20 del 24 Maggio, è sul punto geografico
zero. Nobile ordina di lanciare sulla banchisa la Croce donata da Pio
XI, il gonfalone della città di Milano, l’immagine della
Vergine del Fuoco di Forlì oltre ovviamente alla bandiera italiana.
Biagi comunica l’evento collegando la nave appoggio “Città
di Milano”, utilizzando l’onda di 900m. Inoltre, irradia
messaggi destinati al Re d’Italia, al capo del governo e al Papa
nonché alla moglie del Generale Nobile. La risposta a quest’ultimo
telegramma arrivò da Roma dopo soli 40 minuti, a testimonianza
delle buone condizioni di propagazione, cosicché il generale
diede a tutto l’equipaggio la facoltà di informare le famiglie,
“ben s’intende a pagamento”.
Il repentino peggioramento del tempo, con velocità del vento
superiore a 25 nodi, non consente la discesa dell’aeronave sulla
banchisa polare. Nobile, prudentemente, vorrebbe dirigersi verso le
coste dell’Alaska, come fatto in precedenza durante la spedizione
del “Norge”. Il prof. Finn Malmgreen, meteorologo
di bordo, è però rassicurante: in forza delle sue previsioni,
ipotizza nelle ore successive una rotazione dei venti tale da favorire
il volo dell’aeronave verso la “Baia del Re”.
Questo è il momento cruciale del viaggio in cui si prenderà
una decisione sbagliata che si rivelerà tragica perché
da questa deriverà la catastrofe. Il vento continuerà
a spirare senza mutamenti di intensità e direzione per 21 ore.
Muovendosi nella tempesta, il dirigibile si appesantisce, accumulando
ghiaccio e nevischio; il forte vento impedisce all’aeronave di
acquistare velocità e mantenere la quota. Alle ore 09:25 del
25 Maggio, a causa del gelo, il timone di quota si blocca e nonostante
gli sforzi non riuscirà più a liberarsi. Nobile realizzò
chiaramente l’impossibilità di qualsiasi manovra correttiva
in quanto il dirigibile era divenuto ingovernabile: bisognava impedirne
l’incendio in seguito al contatto con la superficie ghiacciata.
A tal fine impartì l’ordine di arrestare i motori per rendere
meno violento l’impatto. Alle 10:30 venne lanciato l’S.O.S.:
tre minuti più tardi la navicella di poppa urtò violentemente
sulla banchisa, uccidendo il motorista Vincenzo Pomella. Pochi istanti
dopo, nella sua corsa impazzita l’aeronave urtava nuovamente la
banchisa, lasciandovi la cabina di comando fracassata che, squarciandosi,
proiettò nella zona circostante il punto d’impatto una
gran quantità di materiali, rivelatisi poi indispensabili per
organizzare la sopravivenza. Fra i superstiti trovatisi improvvisamente
sbalzati sul pack, tutti erano in stato di shock, alcuni contusi e feriti
ma altri addirittura incolumi, come il capitano di corvetta Adalberto
Mariano, il tenente Viglieri ed il radiotelegrafista Biagi. L’involucro
dell’aeronave, alleggeritosi dopo l’impatto, riprendeva
intanto quota portandosi via sette membri dell’equipaggio.
Ripresosi dallo stordimento, Biagi si ritrovò stretta fra le
braccia contro il petto la cassetta del trasmettitore di riserva praticamente
intatto, “nella confusa coscienza di stringere un inestimabile
tesoro” come egli stesso ebbe modo di scrivere nelle sue
memorie. La prima attività svolta dagli uomini più validi,
consistette in una ricerca metodica dei numerosi oggetti sparsi sulla
superficie ghiacciata: fu così possibile recuperare la tenda,
una coperta, vari strumenti scientifici, tre cronometri Longines, intatti
nelle loro scatole, ed i viveri preparati in previsione dell’atterraggio
sulla banchisa. La quantità complessiva permetteva di sopravvivere
per un paio di mesi, effettuando un razionamento giornaliero di 200
grammi a persona. Dopo aver aiutato i compagni ad alzare la tenda, Biagi
trasse dai rottami il ricevitore ad onde corte “Burndept”,
miracolosamente preservato dalla tragica sorte toccata alle altre apparecchiature
della cabina radio. Constatato il buono stato di conservazione, dapprima
curò l’installazione della parte ricevente, utilizzando
come antenna un filo isolato disteso sulla superficie gelata. Un’estremità
venne immersa in acqua come presa di terra. Secondo gli accordi intercorsi
in precedenza alla partenza del dirigibile, la nave appoggio “Città
di Milano” (IGJ) avrebbe dovuto trasmettere in onde corte
al 55° minuto di ogni ora. Fu così possibile verificare il
funzionamento del ricevitore: i segnali giunsero chiari ed esortavano
Biagi a servirsi del trasmettitore di riserva qualora l’apparato
principale fosse in avaria. “…La Patria mi aveva fatto
udire la sua materna voce in quel linguaggio di segni lanciati attraverso
gli spazi. C’era veramente da ringraziare Iddio”. Senza
indugiare lavorò alacremente per mettere in condizioni operative
anche la “cassettina” trasmittente. Valendosi di alcuni
tubi in duralluminio, facenti parte dell’ossatura dell’aeronave,
riuscì a mettere in piedi, non senza difficoltà, un’antenna
dell’altezza voluta. Il problema maggiore fu quello di mantenerla
dritta poiché i ghiacci su cui erano assicurati i controventi
erano in continuo movimento. Constatato il funzionamento del trasmettitore,
Biagi attese il fatidico 55° minuto per lanciare il primo S.O.S.
Le due parti costituenti la stazione erano ad una certa distanza l’una
dall’altra, cosicché egli doveva trasmettere quindi correre
sotto la tenda, ove era piazzato il ricevitore, ed ascoltare l’esito
della sua chiamata, ma non arrivò alcuna risposta. In un primo
momento, il pensiero andò alla lunghezza d’onda utilizzata.
Le conoscenze del periodo relative alla propagazione delle onde corte
consigliavano l’utilizzo delle lunghezze prossime ai 40m, in quanto
la distanza che separava il luogo del naufragio dalla “Baia
del Re” era di circa 250 Km. Non possedendo un ondametro,
Biagi trasportò l’apparato ricevente in posizione più
distante, quindi lo sintonizzò sull’emissione della stazione
militare di Roma San Paolo (IDO), corrispondente ad una lunghezza d’onda
di 32m. Contemporaneamente il tenente Viglieri attivò la “cassettina”
e provvide a regolarne il variometro in modo da permettere a Biagi di
ascoltare entrambi i segnali. Il lavoro richiese circa due giorni di
tempo, anche a causa del guasto subito dal condensatore di blocco con
la conseguente necessità di procedere alla sua riparazione. Negli
intervalli era sempre possibile l’ascolto della nave appoggio
nonché dei comunicati stampa trasmessi da Roma alle 21 GMT di
ogni giorno dai quali i superstiti traevano coraggio, apprendendo che
Russia, Svezia, Norvegia ed Italia stavano preparando spedizioni di
soccorso. Frattanto, perdurando il silenzio della stazione a bordo del
dirigibile, la sciagura fu immediatamente intuita e, in ausilio all’attività
di ascolto fatta dalla “Città di Milano”,
tutti i centri trasmittenti europei e le navi viaggianti sulle rotte
del Nord Atlantico diminuirono le trasmissioni, intensificando gli sforzi
per ricevere eventuali segnali lanciati dai superstiti. A partire dal
terzo giorno, Biagi trasmetteva i suoi S.O.S. ogni due ore. Egli si
attaccava sempre più alla radio come un naufrago ad un salvagente,
adottando tutte le piccole malizie che un radiotelegrafista impara durante
il servizio. Ad esempio, durante il lancio dei segnali orari di Parigi,
dalla Torre Eiffel, sintonizzava il trasmettitore sulla medesima lunghezza
d’onda, sperando che qualche stazione in ascolto ricevesse le
sue invocazioni di soccorso. Nonostante che l’equipaggiamento
fosse quanto di meglio disponibile, qualcuno fra i sopravvissuti cominciò
ad avere dubbi circa l’efficienza della radio. Il generale conservava
una grande fiducia tanto da ritenerla l’unica salvezza per i superstiti.
Il freddo intenso cominciava lentamente a prendere possesso delle batterie
e questo costituiva un motivo d’angoscia per Biagi in quanto temeva
l’esaurimento precoce dell’energia prima di aver stabilito
un contatto con i soccorritori. Il quinto giorno il ghiaccio continuava
a slittare verso EST, mentre la radio cominciava ad essere da molti
considerata come inutile. Tuttavia, ogni due ore, Biagi continuava a
trasmettere i suoi S.O.S. senza alcun risultato. Ci furono molte critiche
per questa mancata ricezione dei segnali. Sulla vicenda intervenne in
seguito anche lo stesso Guglielmo Marconi. In realtà, dopo il
prolungato silenzio della stazione di bordo del dirigibile, sulla nave
appoggio “Città di Milano” era diffusa la
convinzione che il radiotelegrafista Biagi fosse morto, pertanto non
veniva effettuato l’ascolto diligente della radio agli orari prestabiliti.
La deriva dei ghiacci, intanto, trascinava la “Tenda Rossa”
verso Capo Leigh Smith. I comandanti Mariano e Zappi s’erano indotti
a staccarsi dal gruppo per tentare di raggiungere la salvezza attraverso
una marcia a tappe forzate verso Capo Nord delle Svalbard dove si erano
concentrati i mezzi di soccorso. Ai due ufficiali di marina si unì
il Prof. Malmgreen, dichiarando di volersi assumere la responsabilità
della missione, ardita e generosa, ritenuta l’unica possibile
per rompere l’isolamento dei naufraghi. Anche Biagi sarebbe potuto
partire, ma, dopo accorata discussione, preferì restare con la
radio. Il 30 Maggio, la pattuglia lasciò l’accampamento
nella speranza di trovare aiuti ed una barca il più vicino possibile.
Mariano e Zappi saranno recuperati dal rompighiaccio russo “Krassin”
in rotta verso la “Tenda Rossa”. Malmgreen, duramente
provato da una commozione interna, si lascerà morire fra i ghiacci.
L’avanzare della primavera artica rese la vita sul pack preoccupante.
La velocità di deriva dei ghiacci crebbe mentre le condizioni
climatiche e d’irraggiamento favorirono oltremodo lo scioglimento
della banchisa. La sera del 3 Giugno, Biagi si trovava presso la tenda,
accanto al ricevitore, quando un comunicato della stampa di Roma provocò
in lui un brivido lungo le vene nell’apprendere che:”…un
radioamatore russo asserisce di aver raccolto il segnale dell’”Italia”
dalla Terra di Francesco Giuseppe. E’ stato dato ordine alle stazioni
russe di prestare molta attenzione…” Il radiodilettante
Nicolaj Schmidt, di Vochma, vicino la città di VOZNESENYE nella provincia di Arcangelo,
aveva in realtà frainteso le parole
usate da Biagi per indicare il luogo ove si trovavano, nelle vicinanze
dell’isola di Foyn, intercettandole senza comprenderle bene. L’interpretazione
permetteva una deformazione di “Foyn” in “Francesco”,
a cui era logico associare per intero il nome “Terra di Francesco
Giuseppe”. L’errore poteva rivelarsi non scevro da pericoli
per gli aeronauti dispersi in quanto avrebbe potuto orientare le ricerche
verso una zona lontana dal luogo dell’incidente. Nei giorni successivi,
Biagi intensificò le trasmissioni dei segnali di soccorso, nella
speranza di stabilire un contatto con il radioamatore russo, ma non
udì nulla. L’intercettazione di Nicolaj Schmidt, fu del tutto casuale
in quanto la marina non divulgò la frequenza di riserva della
spedizione in ossequio alle norme secondo le quali le frequenze militari
sono segrete. Finalmente il 6 Giugno si stabilì il contatto con
la “Città di Milano” all’orario consueto.
Balzato come il solito all’apparecchio ricevente, Biagi poté
udire:”…Abbiamo ricevuto vostra nota, però dateci
un’altra volta le coordinate…”. Il giorno passò,
pagine di notizie furono trasmesse in serata finché un “ITALIA
ITALIA” fece balzare Biagi a nuova vita:”…Città
di Milano vi ha ascoltato chiaramente stamattina. Ricevute le coordinate.
Dateci la matricola di Biagi…”. Iniziò così
una lunga sequela di messaggi inviati, ricevuti e malintesi, di accordi
sulle segnalazioni per consentire l’individuazione della tenda
da parte di aerei svedesi inviati in ricerca; intanto continuava verso
EST la deriva dei ghiacci. Le sofferenze degli aeronauti non finirono,
poiché l’opera di soccorso si rivelò difficile e
lenta. La fortunosa vicenda, vissuta fra inenarrabili patimenti dovuti
alla prolungata permanenza in condizioni estreme, terminò solo
il 12 Luglio, quando otto superstiti, avvistati da aerei italiani, furono
raccolti dalla nave rompighiaccio russa “Krassin”
che, nonostante le avarie riportate e la carenza di carbone, portò
a termine la missione di soccorso. Nelle operazioni si distinsero anche
i paesi baltici e lo stesso Amundsen che, nell’intento generoso
di portare un sollecito aiuto agli amici italiani feriti, volò
a lungo alla loro ricerca sopra la banchisa polare a bordo di un idrovolante
e si perse per sempre nell’immensa distesa bianca. Il generale
Nobile e la cagnetta “Titina” furono prelevati
dall’aviatore svedese Lundborg la sera del 24 Giugno, utilizzando
un aereo “Fokker 28” a pattini, capace di atterrare
sul pack in prossimità della “Tenda Rossa”.
L’interpretazione del salvataggio, stravolta e strumentalizzata,
fu oggetto di polemiche mai completamente sopite. Dopo l’avventura
nell’Artico, lo stesso anno Giuseppe Biagi riprese il suo posto
nei ranghi della marina.
Egli non è ricordato come un eroe, ma, fortunatamente, non
tutti gli eroi portano medaglie.
Alla ricerca del dirigibile.
Nel 1929 fu organizzata dal SUCAI (Studenti Universitari del Club Alpino
Italiano) una spedizione per la ricerca dei resti del dirigibile “Italia”,
scomparso dopo l’impatto con il pack. La spedizione, diretta dall’Ing.
Gianni Alberini, ebbe inizio il 15 Maggio del 1929. I servizi radio
erano curati dal Dr. Franco Pugliese, avvalendosi di apparecchiature
progettate dell’Ing. Eugenio Gnesutta e realizzate dalla ditta
“Allocchio & Bacchini” di Milano. Le ricerche
diedero esito negativo. Le sorti di ciò che rimaneva dell’aeronave
dopo il primo impatto sono ancora oggi un mistero. Una tesi accreditata
da alcuni esperti ipotizza un secondo schianto sulla banchisa, ad una
distanza di 20-40Km dal luogo del primo, con conseguente incendio dell’Idrogeno
contenuto nell’involucro. L’intenso calore sprigionatosi,
fondendo la calotta artica, avrebbe permesso all’intelaiatura
metallica di affondare. In breve tempo la superficie ghiacciata si sarebbe
riformata a causa delle temperature molto rigide, tipiche della regione.
Una curiosità…
Nei primi anni ’30, un artigiano di Medicina, Luigi Poli, realizzò
alcuni radioricevitori su progetto di Giuseppe Biagi. Due esemplari
sono giunti sino ai giorni nostri. Uno in particolare, appartenente
ad un radiotecnico bolognese, è stato esposto durante la rassegna
“RadioExpo”, svoltasi nel 1995
presso il quartiere fieristico di Bologna, nell’ambito delle celebrazioni
per il centenario dell’invenzione della radio (1895-1995) ad opera
di Guglielmo Marconi. Lo schema è quello tipico di un ricevitore
eterodina a comandi separati per oscillatore locale ed aereo. Impiega
otto triodi tipo “A409” a zoccolatura europea:
uno di questi è utilizzato come raddrizzatore necessario al funzionamento
dell’indicatore di sintonia a bobina mobile. Tutto il complesso
era alimentato mediante batterie di pile a secco e accumulatori per
i filamenti, una soluzione obsoleta rispetto ai tempi in quanto, a partire
dal 1928, la disponibilità di valvole raddrizzatrici quali la
280 o similari, consentì l’alimentazione degli apparecchi
radiofonici direttamente dalla rete luce. Per altro si presentava il
problema della ricarica degli accumulatori di filamento, resa possibile
solo grazie all’utilizzo di dispositivi quali, ad esempio, i raddrizzatori
“Tungar”, prodotti su larga scala dalla “General
Electric”. Il cablaggio è realizzato interamente con
connessioni a vite senza alcun punto di saldatura. I trasformatori di
media frequenza sono racchiusi entro contenitori cilindrici in bachelite,
recanti nella parte superiore le generalità del costruttore unitamente
alla dicitura “Radio Biagi”. L’ascolto dell’apparecchio
lascia ancora oggi esterrefatti per la sensibilità e la qualità
nella riproduzione sonora utilizzando cuffie ad alta impedenza prodotte
molti anni addietro. Ciò conferma ancora una volta la grande
esperienza e il bagaglio tecnico posseduti da Biagi, dimostrati in precedenza
durante l’avventura polare.
Giuseppe Biagi
Bibliografia:
1) L' "Italia" al Polo Nord - Umberto Nobile - Marsilio Editore 1987
2) G. Biagi – Biagi Racconta… – Mondadori 1929
2a) La tragedia del Dirigibile "Italia" 60 anni dopo – RAI 1968
3) F. Soresini – Le radio del Generale Nobile – A.I.R.E.
2003
4) I. R. Colizzi – Giuseppe Biagi eroe dimenticato – Union
Cards 2002
5) P. Angela, G. Bisiach – S.O.S. dal Polo – trasmissione
speciale RAI UNO – Gennaio 2002, (Replicata su RAI TRE – Febbraio 2006) |