Comitato Guglielmo Marconi International - Fondato nel 1995
Fondato nel 1995



La Sindone
di Ito De Rolandis
 

1) Da Palest a Europa

Secondo il racconto del Vangelo, Gesù, messo in croce sul Golgota, muore alle 15 del 7 aprile dell'anno 30. "La terra trema, il cielo si fa oscuro" descrivono. Tutti i seguaci sono incapaci di prendere iniziative, e se ne stanno in disparte, intontiti. L'unico attivo è Giuseppe, un anziano benestante di Arimatea. E' commosso. Quella crudele crocifissione lo ha toccato profondamente. Ora bisogna dare sepoltura al Maestro, e lui offre agli apostoli la tomba che aveva comprato per sé. Giuseppe non era un seguace del Cristo. Era un giudeo in là negli anni, di indole buona e generosa, e poiché nessuno dei presenti ha un telo per avvolgere quel corpo sanguinante, martoriato dalle ferite, offre anche questo: una "sindone" per riti funebri, un lino tessuto a spina di pesce, largo poco più di un metro ed alto quattro metri e mezzo. "Sindone", perché così veniva chiamato uno "scampolo" di quelle fattezze destinato a quel triste uso.
Inizia la sera. Bisogna calare il Cristo dalla Croce. Giuseppe non ce la fa, e si fa aiutare da Nicodemo. Insieme sorreggono l'uomo che era stato crocifisso e lo portano nella grotta, poco più in basso. E' tardi, il sole è all'orizzonte. Giuseppe distende il telo sulla pietra del sacello, vi adagia il morto, e poi ripiega la pezza di stoffa sino a coprirgli volto corpo e piedi, com'era in uso presso gli ebrei. C'era una macina all'ingresso che faceva da porta. La spingono. Chiudono. E tutti se ne vanno.
Dopo due giorni Maria, le tre pie donne e gli apostoli giungono al sepolcro con unguenti. "La macina è a terra, Pietro si affaccia, guarda nella tomba e crede". La stessa cosa fa Giovanni, e poi tutti gli altri. "La grotta è vuota, il Cristo non c'è più ". Tutti sono convinti della sua Risurrezione, ma è soprattutto la "Sindone" che comprova l'incredibile promessa del Messia: "entro tre giorni io risorgerò ".
Perché i quattro evangelisti si sono soffermati su questo punto? Perché tutti "videro e credettero"?
Secondo l'interpretazione cristiana, la Sindone era rimasta stesa sul sacello tal quale com' era stata lasciata da Giuseppe. Il morto che avvolgeva non l'aveva scomposta, anche se la stessa salma ora non c'era più. Il lino testimoniava la sua inconsueta sparizione, come se quel corpo si fosse smaterializzato, dissolto, senza disfare il lenzuolo.
Della Sindone non se ne seppe più nulla. Romani e giudei continuarono a perseguitare quel gruppo di cristiani, e molte testimonianze della predicazione del Cristo furono occultate. Anche la Sindone nel corso di quei secoli fece perdere le proprie tracce. Verosimilmente fu tenuta celata dai suoi seguaci, gli Esseni. Temendo le razzie dei soldati di Roma e la persecuzione degli sacerdoti ebrei gli apostoli fecero sparire molti oggetti, per salvarli e trasmettere con essi una cronaca precisa di quello che era accaduto.
Nell'anno 320, tre secoli dopo, la mamma dell'Imperatore Costantino, Elena, in un suo viaggio in Terra Santa conobbe il vescovo di Gerusalemme Macario, e questi, in omaggio alla fede dell'ospite, condusse Elena in un magazzino segreto e le mostrò i chiodi e gli assi della Croce, il calice dell'Ultima Cena, l'asciugamano offerto dalla Veronica mentre Gesù saliva su per le pendici del Calvario. C'era anche la Sindone tra quei cimeli?
Sparita per altri due secoli ecco che il telo funebre riappare misteriosamente nel 544 ad Edessa (oggi Sanliurfa, od Urfa, in Turchia). Le cronache dell'epoca raccontano che i viaggiatori avevano visto in quella città "una straordinaria immagine non fatta da mano d'uomo. La tela era ripiegata su se stessa e mostrava un volto martoriato". Qualcuno la chiamava "Mandilion".
Altri cronisti vissuti nell'anno 944 riferiscono che Edessa fu saccheggiata da soldati bizantini e che quel telo, portato dalle armate a Costantinopoli forse dalla Grecia, veniva qui esposto per intero. E la stessa cosa afferma Luigi VII di Francia, in visita a quei paesi nel 1147.
Nel 1204 durante la quarta crociata indetta per liberare il sepolcro di Cristo, i soldati confusero città, e convinti di essere sbarcati a Gerusalemme saccheggiarono Costantinopoli, massacrando gli stessi cristiani! Gli invasori fecero man bassa di tutto, donne vasellame d'argento e tessuti. Le donne vennero abbandonate sul suolo turco, il resto fu portato via come bottino di guerra. In questi bauli vi era anche la Sindone trafugata dal santuario di Santa Maria di Blacherne "Uno dei capitani, l'ha consegnata al padre affinché si facesse un bel cappotto". E' difficile separare la leggenda dalla realtà.
Chi era costui? Un avo della famiglia di Charny abitante nel castello di Lirey in Francia? Non si sa. Una cosa è però importante: dopo il saccheggio, il governatore di Costantinopoli presentò una vibrata protesta ai monarchi europei per l'oltraggio subito dai soldati "cristiani" contro "cristiani" come erano loro, e biasimò che le soldataglie avessero fatto man bassa anche di reliquie religiose. Ne fece un elenco, ed in esso venne menzionato il sacro volto, senza ulteriori spiegazioni. Era il volto della Sindone ripiegata?
Di certo 150 anni dopo, la Sindone risultò in possesso di Geoffrey de Charny. Ma in quel tempo vi erano tre personaggi con questo stesso nome: un mercenario, un commerciante, ed un nobile templare governatore della Normandia (Lirey), quest'ultimo mandato al rogo insieme a Jacques de Molay, gran Maestro dei Templari, bruciati vivi tutti e due sull'isolotto della Senna a Parigi, davanti a Notre Dame. Era il 1314. Il Tribunale dell'Inquisizione li aveva accusati di aver adorato il volto di "Baphomet". Vedremo in altra parte chi era questo "Baphomet". Per ora ci interessa la menzione. L'accusa dell'idolatria non reggeva, tanto che il papa scagionò i Templari, ma subito dopo, li denunciò nuovamente su pressione di Filippo il Bello, chiacchierato ed avido re di Francia che mirava ad impadronirsi delle ricchezze di questi cavalieri-monaci.
La "Sindone" era dunque la "Sacra icona dei Templari"? Si racconta che in un castello appartenuto a costoro, a Templecombe in Inghilterra, fu trovata una nicchia dietro un affresco su legno posticcio. L'apertura corrispondeva alla larghezza della tela arrotolata su se stessa, e per Iean Wilson "era in questo muro,che i Templari nascondevavo il cimelio". Secondo lo scrittore Andrea Guenna, la Sindone era nascosta invece alla Fraschetta, nei pressi di Alessandria, in Piemonte, dove i Templari avevano la loro roccaforte piemontese. Ma il castello di Templecombe è oggi un ammasso di rovine ed alla Fraschetta i rovi hanno avvolto i ruderi. Mancano prove, ma solo i monaci soldato potevano aver salvato il telo dalla distruzione delle reliquie praticata dal fanatismo iconoclasta. Pertando loro potevano averlo portato in Europa.
Nel 1453 una nipote del de Charny di Lirey, Margherita, fece testamento. Nel documento scrisse che alla sua morte donava il lino ai Savoia. Di conseguenza l'11 giugno 1502, la reliquia venne trasferita nella savoiarda Santa Cappella del Castello di Chambery, racchiusa in una cassetta foderata con una lamina d'argento. Il venerdì santo del 1503 la Sindone scampò ad una ordalia folle. L'episodio è narrato da Antoine de Lalaing: tre vescovi del Bourgen- Bresse ospiti dei Savoia, dopo aver mangiato e bevuto più del buon senso, sazi ed ebbri si misero a discutere sull'origine del telo ed in preda al Beaujolé decisero di farla bollire in un intruglio di cenere, calce e soda tutto ciò per controllare se l'immagine era veramente indelebile. "Dio lo determinerà". E fecero questo inconsueto "bucato ordalia" attorniati dagli esterrefatti contadini del luogo. Quando videro che l'immagine non era svanita si dichiararono convinti della validità della reliquia ed andarono a dormire.
Questo barbaro giudizio divino convinse gli scettici della natura soprannaturale del telo, e nel 1506 Papa Giulio II concesse il culto liturgico e diede consenso affinché la Sindone fosse esposta (ostesa) al pubblico.
Il 3 dicembre 1532 nella Sainte Chapelle de Chambery divampò un incendio. Le cause non furono chiarite, chi diede colpa ad un paio di ladri chi addebitò le fiamme ad un camino difettoso. Fortunatamente il fumo svegliò due frati francescani, accorsero anche Filippo Lambert consigliere del duca ed il fabbro del maniero Guglielmo Pussod. I quattro riuscirono a salvare la teca anche se il fuoco aveva già intaccato gli angoli della cassetta. Gocce incandescenti di argento fuso colarono all'interno e bruciarono gli angoli della stoffa. Nell'aprile del 1534 le clarisse ripararono i danni ponendo delle toppe. Applicarono anche una tela d'Olanda come federa di rinforzo.
 

2) I Templari

I pellegrini che si recavano in Terra Santa venivano attaccati da bande di predoni. A protezione dei fedeli Ugo di Payns costituì (1119) un ordine monastico di cavalieri, pronti a dare battaglia ai razziatori e nello stesso tempo essere devoti alla regola di Sant'Agostino. Baldovino II, re di Gerusalemme, donò ad essi una fortezza nei pressi del Tempio di Salomone, e da questa vennero chiamati "Miles Templari" ossia "Soldati del Tempio". Nel 1128 l'ordine cambiò struttura ed assunse quella cistercense suddivisa in cavalieri di rango aristocratico, fratelli laici, e sacerdoti ordinati alla messa. Protetti da San Bernardo ottennero dal Papa la divisa (1148) costituita da un mantello bianco segnato da una croce rossa. Ammirati per la loro cultura e per l'abilità nell'uso delle armi a difesa dei cristiani, acquisirono numerosi lasciti, e con tale denaro costruirono numerose fortezze sulle coste del Mediterraneo orientale, ove sorsero "banche" a vantaggio dei fedeli in Terra Santa. Il loro notevole potere finanziario li pose in conflitto nella gestione dei rapporti coi sovrani europei, tanto che sul finire del 1200 il "Tempio di Parigi" era a tutti gli effetti la "Banca di Francia". Nel 1307 Filippo il Bello mirò al loro deposito aureo e per averlo indusse Clemente V a porli sotto accusa, poi - arbitrariamente - il 13 ottobre 1307 arrestò 137 Templari che denunciò al Tribunale dell'Inquisizione. Orrendamente torturati, furono costretti a confessare crimini assurdi. Tutti furono uccisi. La pressione di Filippo il Bello si fece sentire anche attraverso l'arcivescovo di Sens che a sua volta condannò al rogo altri 154 cavalieri. La montatura fu smascherata nell'ottobre del 1311 quando al congresso di Vienna (ottobre 1311) i Templari vennero dichiarati innocenti ed estranei alle accuse. Ma ormai era troppo tardi: erano stati sterminati quasi tutti.
 

3) "BAPHOMET"

Su istigazione di Filippo il Bello ( che mirava al tesoro dei Templari) il Tribunale della Santa Inquisizione accusò i Cavalieri crociati di praticare il culto di "Baphomet".
Oggi si ha ragione di supporre che la denominazione fosse una storpiatura di "Mahomet", ossia il nome del noto profeta dell'Islam. "Baphomet" appare la prima volta in uno dei verbali dell'Inquisizione del 1300. Un disegno lo raffigura come un caprone con seno femminile e due braccia sulle quali è scritto "sciogli" e "coagula". Secondo l'accusa del Santo Uffizio i cavalieri, durante il loro noviziato, dovevano danzare nudi attorno a questo simulacro mai trovato, giurargli fedeltà e dedicargli la loro purezza. Le accuse risultarono assolutamente false. Quando il papa assolse i Templari da tali imputazioni, il re francese andò su tutte le furie ed emanò una legge di requisizione dei beni ecclesiastici. Legge che venne abrogata dopo poche settimane, quando il pontefice Clemente V fece riaprire il processo dallo stesso Tribunale dell'Inquisizione coadiuvata da "commissioni pontifice" controllate di fatto da Filippo il Bello. Nel 1309 altri prelati seguirono l'esempio dell'arcivescovo di Sens, tutti sensibili ai favori del re francese, e condannarono a morte più di cento cavalieri, accusati di adorare questa misteriosa fantomatica divinità di "Baphomet". Preoccupato della sorte della chiesa parigina, il papa, sempre più in lotta col potere regio, il 3 aprile 1312 soppresse l'Ordine con la bolla "Vox in excelso". Tutti i cavalieri templari di rango inferiore (più di mille) vennero arrestati e condannati in perpetuo alle galere (ossia a remare nei velieri dello Stato della Chiesa). Nel 1314 il Gran Maestro dell'Ordine, Jacques de Molay, fu arso vivo. I beni dei Templari vennero spartiti: banche fortezze castelli al re, vasellame argenti ed ori passarono all'Ordine degli Ospitalieri detti anche "Cavalieri di Gerusalemme" o "Gerosolimitani".. Secondo la leggenda Jacques de Molay, prima di essere portato al rogo, avrebbe affidato al giovane templare Jean-Marc Larménius una carta nella quale vi era l'elenco della successione di tutti i Gran Maestri Templari sino ai giorni nostri. Alcuni ritengono che in tale lista vi fosse anche il nome di Gianluigi Marianini, il noto personaggio televisivo, scomparso nel 2009. Più volte il campione di "Lascia o Raddoppia?" asserì di essere l'ultimo rappresentante del "Sovrano Ordine Militare del Tempio di Gerusalemme", istituzione cavalleresca non massonica, e volle essere sepolto a Vicoforte di Mondovì, nel cuneese, con tale tunica crociata. Un particolare intrigante: la Carta di Larménius è simile alla profezia di Malachia sulla successione dei Papi. E' singolare il fatto che entrambi i documenti troncano l'elenco nel 2022.
 

4) Da Chambery a Torino

La spietata guerra tra Francia e Spagna, ossia tra Carlo V e Francesco I sconvolse l'Europa (1535). Carlo III di Savoia non sapeva con chi stare. Di animo semplice, timido ed indeciso preferì fuggire da Chambery e si rifugiò a Torino, portandosi appresso la Sindone. Ma la città non gli sembrava tranquilla e si spostò a Novara, poi nemmeno Novara gli stava bene ed andò a Pavia. Poi si trasferì a Milano e via via fece il giro di tutte le città lombarde col solito seguito due carrozze di soldati, la sua, quella dei suoi averi, Sindone compresa, ed altre due di guerrieri. Nel 1541 giunse a Vercelli, gli piacque e la giudicò sicura e qui rimase per vent'anni. Nel 1553 la città del riso fu conquistata dall'esercito francese comandato da Brissac. Carlo III fuggì, ma abbandonò il telo. Per timore che questo venisse derubato, il parroco Antonio Costa ubriacò tutto l'esercito col vino della canonica, e nella notte si nascose nelle risaie portando la Sindone nascosta in un cesto.
Il lino tornò a Chambery e qui rimase sino al 1578, quando Emanuele Filiberto la trasferì a Torino. L'occasione gli fu offerta da un voto pronunciato da Carlo Borromeo, durante la famosa peste manzoniana del 1576. Il cardinale promise di andare a piedi a venerare la Sindone in Savoia quando la pestilenza fosse finita. Dopo mesi di tremenda siccità piovve. Il diluvio lavò il cielo e la terra, ed i batteri se ne andarono. Il flagello terminò. Emanuele Filiberto decise allora di abbreviare il tragitto del prelato. Il 9 settembre 1578 la teca fu accolta nel castello di Lucento, poi il 15 settembre fu ospitata nella chiesta di San Lorenzo e per tre giorni il 12,13, 14 ottobre venne tenuta la prima grandiosa ostensione da un palco eretto a fianco di Palazzo Madama.E qui fu venerata da San Carlo. La cattedrale era stata ultimata nel 1498, ma non appariva ancora degna di accogliere la reliquia. Qui fu definitivamente ospitata nel giugno del 1694 quando fu completata la stupenda cappella disegnata dal frate teatino Guarino Guarini , morto 9 anni prima che venisse terminato il suo affascinante progetto, il tempietto della Sindone, eccezionale creazione architettonica barocca, ardita nelle sue linee audaci, che salgono dall'altare sino alla sommità della cupola in un susseguirsi di archi sovrapposti, suggestiva allegoria della mano dell'uomo che punta l'indice verso l'infinità del cielo.
Durante il famoso assedio di Torino (1706) Vittorio Amedeo II fuggì portandosi dietro biancheria, argenti, ori e Sindone. Era diretto a Genova, ma ebbe una serie di incidenti. Il telo fu ricoverato per qualche tempo a Cherasco, nel Palazzo Salmatoris, nella stessa "Stanza della Pace" dove Napoleone firmerà l'armistizio coi francesi nel 1796.
Un secolo dopo Vittorio Emanuele III sposa Elena Petrovich di Montenegro. Un matrimonio suggerito dai medici di corte "per riequilibrare la razza", troppo piccolo lui, molto alta lei. Per l'occasione Umberto I approva un'ostensione ed autorizza l'avvocato Secondo Pia a scattare fotografie, "ma solo di notte e con lampadine accese da ciclisti pedalatori". E' la sera del 25 maggio 1898. Pia espone una lastra di 50 centimetri per 60 per 14 minuti. E quando in camera oscura sviluppa la negativa vede l' "Uomo della Sindone". Dopo tanti secoli il sudario di Gesù dimostrava di essere un'immagine in negativo, cosa impensabile. Infatti sino a quel giorno era molto difficile distinguere su quel telo qualcosa che desse realmente l'idea di un uomo morto di croce: le impronte sono fievoli, soggette alla luce esterna, deboli nei contorni, leggermente gialle oppure brune dove vi sono le tracce del sangue coagulato dalle ferite, ma il tutto poco comprensibili. La scoperta del Pia, fotografo dilettante astigiano, svela improvvisamente ciò che si vedeva nel lenzuolo più con il sentimento della fede che con gli occhi dei sensi. E da quel momento la Sindone entra nella grande indagine della scienza.
 

5) C 14: una storia incredibile

"Sindone, verità od inganno?" titolava don Giuseppe Accornero direttore del quotidiano clericale "L'Eco di Bergamo". Un titolo spregiudicato. Come mai la Chiesa volle una prova dalla scienza? Era il 21 aprile 1988. Roma festeggiava i suoi 2741 anni. In Piazza san Pietro imbandierata si esibivano "gruppi de noiatri" di Trastevere. A Torino, alle 10 in punto, sei periti delle università di Oxford in Inghilterra, di Tucson in Arizona e di Zurigo, tagliavano una striscia del telo. Della fettuccia ne fecero tre parti, ed ogni laboratorio prese un segmento. Quei frammenti dovevano stabilire una precisa data di nascita della Sindone. L'esame sarebbe stato compiuto sfruttando le proprietà dell'isotopo 14 del carbonio. L'autorizzazione era stata firmata dal cardinale Ballestrero. Infatti alla morte di re Umberto II (1983) la Sindone era stata donata per testamento al Papa, e Karol Wojtyla l'aveva passata alla curia torinese. C'è da dire che l'arcivescovo Anastasio Ballestrero aveva firmato il consenso contro voglia. Non approvava che la scienza interferisse con la fede, ma il suo consigliere scientifico, Luigi Gonella, insisteva. Diceva che aveva "sondato il terreno", gli erano state fornite assicurazioni ed il Sacro Lino non avrebbe patito alcun danno da quell'indagine.
Il 13 ottobre di quello stesso 1988, lo medesimo cardinale annunciò il risultato. Quando Ballestrero entrò nella sala stampa gremita di giornalisti, era barcollante. Pallido, gli occhi bassi, le mani tremanti. Lesse con voce incerta poche righe di un biglietto ripiegato su se stesso: "..la prova del C14 data il telo dal 1250 al 1350". "La Sindone è un falso!" annunciarono a piena prima pagina i quotidiani di tutto il mondo.
Il metodo del C14 misura la quantità di carbonio prodotto dai raggi cosmici, una polverina che si deposita su tutti gli oggetti. Tale quantità ne stabilisce gli anni. Più la polverina è spessa, più l'oggetto è vecchio. E' evidente che un campione sottoposto ad un esame del genere deve essere pulito, decontaminato, prelevato con una certa attenzione. Ma tutto ciò non venne fatto. Fu presa con faciloneria, leggerezza ed ingenuità una striscia lungo il bordo, proprio dove tutti pongono le mani. Mani non sempre pulite, e dove il telo, disteso nelle ostensioni, è colpito maggiormente dal fumo delle candele, fumo che è concentrazione altissima di carbonio. Come mai tanta superficialità?
I fedeli si divisero, chi per l'inganno, chi per un errore di datazione. Ci fu anche un gruppo che sorrise malignamente insinuando una vendicativa misteriosa sibillina rivalsa, certamente inquietante. Ecco l'arcano motivo: nella storia esoterica dei "lupi neri" della Chiesa, quel giorno "13 ottobre" è segnato come maledetto: infatti il 13 ottobre del 1307 (13.7) il pontefice Clemente V aveva smembrato l'ordine dei Templari. Proprio quel giorno, su pressione del re di Francia, il pontefice di Roma aveva consegnato 137 "Cavalieri del Tempio" al Tribunale dell'Inquisizione: i 137 Templari furono accusati falsamente di eresia, furono massacrati e chi sopravvisse fu bruciato vivo. Tra questi vi era anche un monaco-soldato noto: Goffredo di Charny, il nome di chi aveva concorso a salvare il telo dal saccheggio di Costantinopoli!